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Nel suggestivo scenario del Teatro Romano, l'edizione 2016 dell' Estate Teatrale Veronese ha ospitato, quindici anni dopo la prima europea, andata in scena proprio sullo stesso palco, Moses Pendleton e i Momix con la riproposizione della pièce Opus Cactus, in replica fino al 06 agosto.

Creato originariamente da Pendleton come un pezzo della durata di venti minuti per l'Arizona Ballet, Opus Cactus è stato via via rielaborato ed ampliato, per arrivare ad essere un lavoro più complesso e opera a se stante.

Tema del balletto è la natura nel suo insieme. Ambientato nel deserto del Sudovest americano, Pendleton e i Momix hanno saputo rappresentare con suggestivi giochi di luce, ideati da Joshua Starbuck, immagini dinamiche, create dal corpo di ballo, con costumi disegnati ad arte da Phoebe Katzin, lucertole, serpenti del deserto, scorpioni, riti tribali sotto giganteschi totem, varietà di flora tipica del deserto, come i cactus o i  cespugli che, sospinti dal vento rotolano nel deserto, tipici delle inquadrature dei film western, oppure fiori/foglie che volteggiano nell'aria.

Il tutto accompagnato da musiche e ritmi che evocano scene ancestrali, "da Bach a Brian Eno (The drop), dai Dead can Dance (The serpent’s egg) a Peter Buffet (Spirit Dance), da danze tribali degli indiani d’America a brani di altre culture "desertiche" come quella degli aborigeni australiani", lasciando il pubblico rapito.

Un susseguirsi temporale dall'alba al tramonto, dal sole alla pioggia, dal cuore al cervello, un continuum spazio temporale che trasporta il pubblico in un viaggio illusionistico nell'anima, in poetiche trasposizioni a ogni cambio di quadro.

Meraviglioso l'inedito omaggio dei Momix a Shakespeare, di cui ricorrono i 400 anni dalla morte, in apertura di serata, con un balletto dedicato a Romeo e Giuletta, rappresentando sul palco lo struggente amore dei due protagonisti nella scena che li ha uniti per sempre.

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Il nuovo album di Stefano Bollani dal titolo "Napoli Trip"  Universal (CD), proposto al Castello Scaligero di Villafranca, può essere considerato una dichiarazione d'amore a Napoli, città con cui il pianista-compositore-cantante ha un feeling particolare.

Complici e compagni di questo viaggio surreale nella musica partenopea, per la serata al Castello di Villafranca, al sassofono e flauti Daniele Sepe, al clarinetto Nico Gori e alla batteria Jim Black.

"Napoli Trip"non è una semplice operazione di cover della storia musicale napoletana ma una reinterpretazione molto personale tipica del poliedrico Bollani .

Brani come: "Caravan Petrol"di Renato Carasone/Nisa 1958, "O Guappo 'nnamurato" di Raffaele Viviani 1910, "Il bel Ciccillo"  di Arturo Trusiano/Salvatore Capaldo 1917, sapientemente arrangiati con armonie contemporanee e integrati da nuove composizioni di Bollani come "Maschere","Vicoli"  e "Lo Schoro di Napoli", introdotto ironicamente con "...la famossissima vicinanza fra Napoli e Rio....." ocome "Il Valzer del Cocciolone" e "Capitan Capitone e i Fratelli della Costa" di Daniele Sepe , anticipata da uno sketch dell’autore, cercando di spiegare a JimBlack in un improbabile inglese, cosa fosse il capitone, edi Nico Gori come "Napoli's blues". Per non dimenticare anche l'omaggio che Bollani, in solo piano, fa a Pino Daniele con "Putesse essere allero".

L'istrionico quartetto sa giocare con la musica e passa da scambi giocosi e ilari, a esecuzioni che dimostrano quanto “l'essere artista” non sia da tutti. Gli assolo come quello alla batteria di Jim Black, che ha stupito il pubblico utilizzando i piatti e le bacchette per creare suoni inusuali , a ricordare che il ritmo può nascere anche in altro modo.

Straordinari e con un timing d'entrata perfetto, il ricongiungimento fra l'esecuzione degli assolo e il gruppo, a testimoniare l'intesa che Stefano Bollani riesce sempre a creare nei suoi progetti musicali.

Una session jazzistica, che lascia il sapore del buono, dove tutti gli ingredienti sono dosati ad arte, se fosse una recensione di Tripadvisor bisognerebbe scrivere "ottimo da consigliare sicuramente........tutto perfetto....... ritornerò senz'altro" e naturalmente voto 5 stelle.

 

 

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"Un mondo d'amore" (Gianni Morandi 1967) così Joan Baez, la "signora del folk" e tanto altro,  ha aperto il concerto all'Anfiteatro del Vittoriale degli Italiani.

Ascoltare Joan Baez non è soltanto assistere a un concerto, ma andare con la memoria a ciò che ha rappresentato e rappresenta. Punto di riferimento del pacifismo e della lotta per i diritti civili,  una immagine della nostra storia che non passa inosservata.

Un viaggio nelle canzoni che hanno segnato un'epoca, influenzato generazioni e modificato il vissuto di chi, in prima persona, ha partecipato a una rivoluzione epocale degli anni '60 e '70.

"L'usignolo di Woodstock" ha saputo stregare fin dall'inizio la platea del Vittoriale, riempiendo il palco con la sua personalità, sobria e disinvolta e con le sue chitarre, strumenti indispensabili per un'artigiana di emozioni come lei. Interagendo con una semplicità e una sicurezza di palco che solo i grandi artisti possono vantare. 

La sua voce è più calda degli anni dove riempiva parchi dalle platee infinite, composta e distante dal microfono più di un palmo, come se lo stesso fosse un elemento coreografico, ma sempre coinvolgente, accarezza il pubblico con gli storici: "It's All Over Now, Baby Blue" di Bob Dylan, "The House of the Rising Sun", "Joe Hill" di Earl Robinson, "God Is God" di Steve Earle,  "Me and Bobby McGee" di Kris Kristofferson e "Diamonds and Rust".  senza tralasciare "Deportees" che Woody Gunthrie scrisse nel 1948 ispirandosi all'incidente aereo di Los Gatos Canyon, in California, dove morirono 32 braccianti stagionali messicani che, dopo essere stati sfruttati nei campi, venivano riportati in patria con la forza, in condizioni disumane.

Non sono mancati altri "omaggi" alla canzone italiana come: "C'era un ragazzo che come me amava i Beatles ed i Rolling Stones" (Gianni Morandi 1966) e "Bella Ciao". La pronuncia magari non perfetta ma cantate con grande sentimento.

Ad accompagnare Joan Baez sul palco anche il polistrumentista Dirk Powell e il figlio della cantante, il percussionista Gabriel Harris.

Una serata all'insegna dei sentimenti oltre che della musica; Joan Baez mette d'accordo tutti  sui valori della civiltà e dell'accoglienza, senza lasciare spazio all'odio.

Un appuntamento unico per il pubblico dell'Anfiteatro del Vittoriale, che non dimenticherà l'abbraccio di Joan Baez anche dopo il concerto.

Questo è accaduto grazie alla grande organizzazione del Vittoriale, che come sempre non ha lasciato nulla al caso.

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Quando si dice "basta la parola"...... in questo caso basta il nome anzi i nomi Pat Metheny e Ron Carter.

La VI edizione del Festival del Vittoriale, per la rassegna Tener-a-mente 2016, ha ospitato, in esclusiva per il nord Italia, la prima data nazionale di un duo d'eccezione: Pat Metheny e Ron Carter. Due colonne portanti del jazz mondiale.

L'anfiteatro gremito e in trepida attesa ha accolto con calore l'arrivo sul palco di Pat Metheny, icona del jazz moderno (20 Grammy vinti in carriera, più di 20 milioni di dischi venduti), che ha aperto il concerto con la mitica Pikasso guitar, realizzata appositamente per Pat Metheny dal liutaio Linda Manzer di Toronto nel 1984 (la chitarra monta 42 corde, ha richiesto due anni di lavoro ed è considerata un vero capolavoro).

Il pubblico rapito fin dalle prime note ha ascoltato in religioso silenzio, interrotto solo dagli applausi al termine dell'esecuzione.

Ad accompagnare sul palco Path Metheny , il giovane pianista britannico Gwilym Simcock, new entry del gruppo. Il feeling musicale da subito tangibile, a conferma di quanto dichiarato da Metheny" “Gwilym è uno dei pochi musicisti al mondo con cui sento che potrei suonare qualsiasi cosa. Ha una profonda comprensione di tutta la mia musica, essendo cresciuto ascoltandola".

Anfitrione della serata è lo stesso Metheny, che annuncia e presenta il “compagno” della serata il contrabbassista statunitense Ron Carter, reclutato nel 1963 nel quintetto di Miles Davis come elemento fisso in quella che è considerata la più grande sezione ritmica della storia del jazz.

Le due leggende del jazz hanno condiviso il palcoscenico una sola volta in occasione del Detroit Jazz Festival 2015, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica, tanto da dare vita al progetto di un tour insieme.

Il gioco delle parti perfetto, in un dare avere continuo, la genialità dei due musicisti che giocano con i strumenti e la consapevolezza l'uno dell'altro. Bello vedere Pat Metheny seduto ad ascoltare Ron Carter nei suoi assoli, rapito dalle note che crea con il contrabasso.

Una richiesta accorata da parte degli artisti, e accolta in toto dal pubblico all'inizio del concerto, è stata quella di non effettuare filmati, ne fotografie. L’appello non è stato accolto da tutti i presenti, specialmente da coloro che, professionalmente, avrebbero dovuto rispettare la richiesta..

Al termine del concerto una standing ovation, con la concessione da parte di Pat, Ron e Gwilym di un bis assieme.

 

Esilarante la sfilata del pubblico, terminato il concerto, sotto al palco per raccogliere cimeli in ricordo della serata.

Un grazie va all'organizzazione del "Vittoriale", ineccepibile come sempre.

 

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AL CASTELLO DI VILLAFRANCA IL SUBSONICA TOUR [1996 - 2016]

Il  [1996 - 2016] tour  dei Subsonica, gruppo musicale italiano esponente dell'alternative rock, che è riuscito in questi anni a portare un linguaggio internazionale nella musica italiana,si è fermato a Verona al Castello Scaligero di Villafranca.

La band ha voluto festeggiare con questo tour i 20 anni di attività,  acquisendo nel tempo un target di pubblico sempre più ampio e trasversale.

Una scaletta che ha visto l'esecuzione di 3 brani per ogni album pubblicato dai Subsonica, con intro di voci fuori campo e dello stesso Samuel Romano, frontman del gruppo, dei fatti salienti accaduti durante gli anni di pubblicazione dei loro album.

IL rock dei Subsonica è coinvolgente, fatto di ritmi incessanti,  ricco di sonorità e contaminazioni. I testi graffianti, manifesti di protesta e verità, riflessi dell'evoluzione, se non dell'involuzione, del mondo e della società.

Sotto al palco si balla, si alzano le mani, si salta al ritmo della musica ma c'è anche chi è seduto sul prato a piedi nudi o steso sull'erba contemplando il cielo illuminato solo dal passaggio dagli aerei, che seguendo la loro rotta, sembrano fare da sfondo al concerto.

Un'atmosfera che riporta ai grandi concerti degli anni '70, cantando insieme ai Subsonica:

- 1997 - SubsOnica (Mescal Records), con "Istantanee", "Non identificato", "Cose che non ho"

- 1999 - Microchip Emozionale (Mescal Records), con "Sonde", "Aurora Sogna" e "Colpo di pistola"

- 2002 - Amorematico (Mescal Records), con "Alba Scura", "Gente Tranquilla" e "Dentro i mie vuoti"

- 2005 - Terrestre (EMI Italiana), con "Ratto", "Abitudine" e "Corpo a Corpo"

-2007 - L'Eclissi (Virgin Records), con "L'Ultima Risposta", "Il Centro della Fiamma" e "Veleno"

- 2011 - Eden con "Benzina Ogoshi", "Il Diluvio", "Istrice"

- 2014 - Una Nave in una Foresta (EMI Italiana) con "Specchio", "I Cerchi degli Alberi" e "Lazzaro"

Per concludere con il brano che forse li ha fatti conoscere al grande pubblico, in occasione anche della partecipazione al Festival di San Remo; "Tutti i Miei Sbagli" dall'album Microchip Emozionale.

Una nota doverosa a Event, la cui organizzazione è stata ineccepibile come sempre.

Prossimi appuntamenti del tour, partito il 27 maggio da Milano, sono:

venerdì 15 luglio 2016

PADOVA @ SHERWOOD FESTIVAL c/o PARK NORD STADIO EUGANEO

Posto Unico in Piedi – €15,00 + diritti di prevendita

 

venerdì 22 luglio 2016

SARZANA (SP) @ SARZANA SOUND c/o PIAZZA MATTEOTTI

Prezzo Biglietto: Posto Unico in Piedi – €20,00 + diritti di prevendita

 

venerdì 29 luglio 2016

MONTALTO DI CASTRO (VT) @ VULCI MUSIC FESTIVAL

 

IN PREVENDITA – Posto Unico: €17,40 + diritti di prevendita IN CASSA: Posto Unico: 20,00€

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Sunday, 05 June 2016 11:32

NICCOLÒ FABI AL TEATRO ROMANO

UNA SOMMA DI PICCOLE COSE TOUR

Il concerto, un sold out minacciato dal temporale, è stato da poco riconfermato: finalmente le nubi si ritirano e come le tende di un sipario si aprono su di un palco illuminato di azzurro.

La quiete dopo la tempesta, la quiete dei brani di Niccolò Fabi, che come sempre scrutano attentamente spiragli di cielo terso tra le nuvole dell'esistenza. 

Il palco è minimo: fondale chiaro, luci morbide, e cinque candelabri a cinque braccia. Cinque come le dita, come i cinque sensi, come cinque sono i componenti del gruppo. Cinque elementi che formano un'unità. Questa è, direi, la caratteristica principale di questa formazione: sembrano infatti cinque braccia dello stesso corpo, che suonano, cantano, e anche danzano, insieme.

Un primo tempo squisitamente acustico di sole chitarre e percussioni e non una parola di presentazione tra un brano e l'altro che interrompa l'ascolto puro e attento delle canzoni del nuovo album.

Il suono è nitido e perfetto. Il pubblico in religioso silenzio. I testi, come sempre, sono fitti e tanto pregni di significati che al primo ascolto non si può afferrarli tutti. Le canzoni di Fabi vanno meditate.

"Facciamo finta che chi ha successo se lo merita" (Facciamo Finta)

"La terra che ci ospita è l'ultima a decidere " (Filosofia Agricola)

"La muffa può sembrare caviale" e "Le grandi rivoluzioni fanno molta paura come molta paura fa fare grandi rivoluzioni" (Non vale più).

L'atmosfera sospesa tocca forse l'apice con l'esecuzione in solo alla tastiera della canzone d'amore Una Mano sugli Occhi.

E poi via, rotto il silenzio, arriva il momento di lasciarsi andare al suono elettrico con Ostinatamente, al ritmo funkeggiante di È non è, al rock in sette ottavi di Ecco, al reggae di Dillo Pure Che Sei Offeso. Il concerto si fa movimentato.

L'intero pubblico canta all'unisono (Il Negozio di Antiquariato), salta (Lasciarsi un giorno a Roma) o tiene il tempo con le mani (Fabi aggiunge: "È bella questa complicità, la capacità di trovare un tempo comune, che dovrebbe caratterizzarci anche nelle altre cose della società").

Niccolò Fabi, ricordando l'esperienza che ha ispirato il brano Sedici Modi di Dire Verde, ha chiesto un applauso anche per Medici per l'Africa CUAMM.

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All’interno delle Giornate Buzzatiane veronesi, dal 16 al 25 marzo, è andato in scena debuttando a livello nazionale, la prima rappresentazione teatrale de “Il deserto dei Tartari” al Teatro Nuovo di Verona, tratto dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati, quello che segnò la sua consacrazione tra i grandi scrittori del Novecento italiano.

Un romanzo tuttavia molto difficile da mettere in scena a causa della scarsità di dialoghi e alla presenza, al contrario, di una forte componente riflessiva e descrittiva, ma che grazie all’adattamento teatrale e alla regia di Paolo Valerio, ha riscosso un enorme successo sia dal pubblico che dalla critica.

Lo scrittore bellunese in un’intervista affermò che lo spunto per il romanzo, il cui tema portante è quello della fuga dal tempo, era nato “dalla monotona routine redazionale notturna che faceva a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita.

È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva.”

La scenografia, completamente aperta dove nulla viene nascosto allo spettatore, è composta da una struttura che funge da fortezza mentre per i fondali sono stati proiettati i dipinti stessi di Buzzati. Non molto spesso infatti Dino Buzzati viene ricordato per questa terza anima da pittore, che in ordine temporale viene ancora prima di quella di scrittore e giornalista.

Ciò che differenzia questa rappresentazione de “Il deserto dei Tartari” rispetto a qualsiasi altra rappresentazione teatrale o cinematografica, è la scelta consapevole di portare in scena l’ultimo capitolo. Grazie infatti alla collaborazione con Lucia Bellaspiga, scrittrice del saggio “Il deserto dei Tartari, un romanzo a lieto fine. Una rilettura del capolavoro di Dino Buzzati”, è stato possibile dare un taglio diverso a ciò per cui comunemente è ricordato questo romanzo ossia la disperazione, il pessimismo e l’angoscia.

Il sorriso che ha il protagonista Giovanni Drogo alla fine del libro, finalmente anche in una sua rappresentazione, diventa essere così la chiave di lettura dell’intera opera.

La vera attesa non erano tanto i “Tartari”e la promessa di una guerra ma la morte, l’oltrepassare la “grande soglia”, il “portale nero” per lasciare spazio ad una “inesprimibile gioia”, alla fine il vero vincitore è proprio Giovanni Drogo.

Chiunque legga questo romanzo rimane intrappolato dalla scrittura avvolgente di Buzzati tanto da diventare egli stesso il protagonista. È proprio per questo che Paolo Valerio ha deciso di far interpretate a tutti gli attori il ruolo del protagonista, ognuno in una fase diversa della sua vita.

Questo scorrere del tempo che scivola addosso a Giovanni Drogo è stato realizzato attraverso l’investitura di un mantello: nel momento in cui l’attore indossava uno dei sette mantelli, che simboleggiano le sette fasi della vita del protagonista, egli diventava Drogo. Interessante notare l’attenta analisi intertestuale svolta a monte di questa rappresentazione e il continuo echeggiare di altri romanzi sempre scritti da Dino Buzzati come I sette messaggeri” o“Il mantello”.

Per la realizzazione di questo spettacolo molto si è dovuto ridurre del testo originale ma non si è voluto modificare nessuna parola scritta dall’autore. Per dare importanza e spessore alla parola di Dino Buzzati il regista ha voluto inoltre che alcuni momenti narrativi, oltre che ad essere recitati, venissero proiettati sul fondale. Una scelta che ha voluto difendere anche a fronte di critiche per dare, a suo parere, un valore aggiunto alla parola e per omaggiare in qualche modo l’anima polivalente di Buzzati scrittore e pittore.

Una messa in scena coraggiosa e accattivante, con tutto “Buzzati” al suo interno, uno spettacolo che dona emozioni e che lascia alla fine una sensazione d’inquietudine, come era lo stesso Buzzati.

Attori (in ordine alfabetico)

Alessandro Dinuzzi

Simone Faloppa

Emanuele Fortunati

Aldo Gentileschi (fisarmonica)

Marina La Placa (theremin)

Marco Morelli

Roberto Petruzzelli

Stefano Scandaletti

Paolo Valerio

 

Adattamento teatrale e regia Paolo Valerio

Movimenti di scena Monica Codena

Scene Antonio Panzuto

Video Raffaella Rivi

Costumi Chiara Defant

Musiche originali Antonio Di Pofi

Luci Enrico Berardi

 

Immagini e proiezioni tratte dai quadri di Dino Buzzati

Dedicato ad Almerina Buzzati

 

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Continua la Stagione Opera e Balletto 2015-2016 al Teatro Filarmonico di Verona con la messa in scena del “Rigoletto”, il melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave.

L’opera, centrata sulla figura del buffone di corte Rigoletto, interpretata da Leo An, si sviluppa sulla maledizione scagliata su di lui dal Conte di Monterone, Alessio Verna, dopo essere stato deriso dal buffone.

Motore di tutto il risentimento sono le voglie libertine del Duca di Mantova, Alessandro Scotto di Luzio, che seduce la figlia del Conte di Monterone, la moglie del Conte di Ceprano e Gelda, Mihaela Marcu, figlia di Rigoletto.

È proprio questo aspetto libertino del Duca, che nell’idea del regista Arnaud Bernard si traduce in una volgare ed esplicita violenza sulle donne, a far rimanere la platea allibita. Non una velata allusione o una seduzione mentale ma una reale scena di stupro corredata da corpi denudati che va a cadere nella volgarità più che a trasmettere un’idea di realismo, forse era quello che si auspicava il regista?

L’allestimento scenografico, a cura di Alessandro Camera, fa eco alla Mantova rinascimentale riproducendo una biblioteca lignea al cui interno si alternano le varie scenografie creando in questo modo un continuum spaziale durante l’intera opera.

Molto interessante e ben sfruttata la casa-torre di Rigoletto che grazie all’aprirsi e al chiudersi delle sue parti e alla rotazione su se stessa, riesce a moltiplicare lo spazio architettonico. L’ultimo atto, ambientato lungo un porticciolo e contrassegnato dall’imbarcazione che funge da abitazione di Sparafucile e Maddalena, è completamente immerso nella nebbia tanto che a tratti era quasi impossibile intravvedere gli artisti.

Molto classici e senza nessun dettaglio degno di nota i costumi che con i loro colori scuri si confondono con il resto della scena se non unica eccezione per il candido vestito di Gilda, che la fa brillare e innalzare quasi ad un angelo.

Inutili, o forse solo poco approfonditi, alcuni aspetti teatrali introdotti nell'arco della rappresentazione come l’analisi corporea medico-scientifica iniziale sulla gobba di Rigoletto da parte del Duca, o ancora l’entrata in scena di un muscoloso uomo di colore quasi nudo ed infine la caduta dal cielo di tutti quei fogli al momento della morte di Gilda.

Per quanto riguarda le interpretazioni è da segnalare quella di Gilda da parte di Mihaela Marcu che ha saputo tenere testa ai virtuosismi che l’opera verdiana impone.

DIRETTORE D’ORCHESTRA Fabrizio Maria Carminati

REGIA Arnaud Bernard

SCENE Alessandro Camera

ALLESTIMENTO Fondazione Arena di Verona

ORCHESTRA, CORO, CORPO DI BALLO E TECNICI Arena di Verona

 

CAST

IL DUCA DI MANTOVA

Alessandro Scotto Di Luzio (13 e 17 marzo)

Raffaele Abete (15 e 20 marzo)

RIGOLETTO

Leo An (13 e 17 marzo)

Federico Longhi (15 e 20 marzo)

GILDA

Mihaela Marcu

SPARAFUCILE

Gianluca Breda

MADDALENA

Clarissa Leonardi

GIOVANNA

Alice Marini

IL CONTE DI MONTERONE

Alessio Verna

MARULLO

Tommaso Barea

MATTEO BORSA

Antonello Ceron

IL CONTE DI CEPRANO

Romano Dal Zovo

LA CONTESSA DI CEPRANO/UN PAGGIO DELLA DUCHESSA

Francesca Micarelli (13 marzo)

Francesca Martini

UN USCERE DI CORTE

Dario Giorgelè

 

Lo spettacolo replicagiovedì 17 marzo ore 20.30, domenica 20 marzo ore 15.30.

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Il 5° appuntamento della rassegna Jazz&More evento ideato dall'omonima Associazione e il Circolo Jazz Verona, in collaborazione con il Due Torri Hotel di Verona, ha ospitato una guest star come il Roberto Cipelli Trio: con Roberto Cipelli al piano, Attilio Zanchi al basso e Tommaso Bradascio alla batteria.

Il repertorio scelto per l'occasione ha visto l'esecuzione di brani come"Softly, as in a Morning Sunrise" musiche originali di Sigmund Romberg e Oscar Hammerstein (1928), "A bit nervous" di Misha Mengelberg (1994),"Danny Boy" (Londonderry Air) nella versione arrangiata da Bill Evans, una cover di successo della musica italiana come "Parlami d'amore Mariù" e i brani dello stesso Roberto Cipelli: "Per non sprecare" e "Kosmopolites".

Il concerto si è svolto in modo fluido; melodie vellutate dal sapore retrò, in pieno accordo con lo stile del luogo, hanno riempito la sala. Il trio ha giocato con le note in un convivio musicale intimista come sottolineato anche dallo stesso Cipelli.

L'esperienza della formazione è riuscita a creare l'atmosfera adatta per la serata, portando il pubblico all'ascolto di standard del jazz senza tempo. 

Jazz&More è una bella iniziativa, perchè nasce dalla passione e ha come obiettivo, oltre che la promozione di giovani talenti e alla partecipazione di nomi storici del jazz, anche quello di avvicinare un pubblico sempre più vasto a questo genere.

In chiusura di serata Silvano Dalla Valentina ideatore con Fabrizio Gaudino della rassegna, ha ricordato anche l'aspetto sociale della manifestazione con i complementi d'arredo dell'associazione Azzalea Home.

Un invito agli appassionati e non ad assistere ai prossimi eventi in cartellone della rassegna:

venerdì 25 marzo - Fabio Giachino Piano Solo

venerdì 8 aprile - Michela Marinello 6tet

venerdì 22 aprile - Max Gallo 4tet Feat G. Cazzola

venerdì 6 maggio - Plus 4tet feat M. Negri

venerdì 20 maggio - Michael Losch Trio

venerdì 9 giugno - Beppe Castellani 4tet

Info aggiornamenti e prenotazioni: 335 6317228 | This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. | www.jazzandmoreverona.com 

 

 

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Al Teatro Camploy è andata in scena l’attesissima prima di “Sic transit gloria mundi” interpretato da Chiara Mascalzoni con la regia di Alberto Rizzi, autore del testo stesso.

Lo spettacolo, nato da due anni di lavoro tra ricerche e scrittura del testo, affronta un argomento delicato quale la storia del femminismo dal punto di vista del maschilismo che in occidente si fonde con la storia della Chiesa.

Nasce così il mito della prima papessa raccontato attraverso un monologo fanta-storiografico che immagina come in un futuro possibile, benché poco probabile, sul "Soglio di Pietro" salga una donna.

Una riflessione sul ruolo della figura femminile nella società attraverso gli occhi della Chiesa per parlare, senza mai incombere in accuse ma semplicemente descrivendo, dell’esclusione delle donne dal sacerdozio e per analizzare le ragioni storiche, teologiche e religiose della sudditanza all'uomo anche nel cattolicesimo laico.

Tre sono i pilastri dello spettacolo: il ruolo della donna nel passato della chiesa, la biografia inventata della prima papessa e infine una storia alternativa e possibile della chiesa attraverso le donne. Ma davvero è tanto bizzarro, intende suggerire il monologo, immaginarsi una donna papa?

Un monologo che si è rivelato essere per nulla piatto né statico, bensì ricco di variazioni toniche e movimento attraverso tutta la scena, grazie alla splendida interpretazione di Chiara Mascalzoni, prima attrice di Ippogrifo Produzioni dal 2009.

Molte erano le preoccupazioni del regista, Alberto Rizzi, riguardo le reazioni del pubblico. Parlare in maniera così specifica, in alcuni passaggi addirittura tecnica, di religione e fede poteva creare reazioni avverse nel pubblico, ma la vena umoristica che ha caratterizzato l’interpretazione dell’intero monologo ha reso possibile le risate oltre che la riflessione.

 

Interprete Chiara Mascalzoni

Regia e testo Alberto Rizzi

Ippogrifo Produzioni

 

Su proposta dell’Associazione disMappa e con la collaborazione del Comune di Verona, il Teatro Camploy promuovere le proprie attività artistiche e culturali rendendo più semplice la partecipazione del pubblico con disabilità. 

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